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venerdì 30 agosto 2013

Vorrestiforsedirmiche...? - del matrimonio in Comune

Chi non ha tra i suoi amici/conoscenti/parenti il Mortodifame?
Non so come lo chiamate voi, ma ve lo descrivo:
Età: 16-80 anni
Stato civile: qualsiasi, basta che non leghi troppo. Insomma, uno stato civile senza impegno.
Statura: 1.70-2.00 mt
Peso: non più di 70 kg
Capello: curatissimo, generalmente liscio
Carnagione: lampadata o arrostita a puntino
Abbigliamento: (in estate) pantaloncini colorati, infradito, camicia senza i primi tre bottoni arrotolata sui gomiti e fuori dai pantaloni; (in inverno) maglione di lana, pantalone, hogan.
Segni particolari: 15/10 di vista.

Il Mortodifame ha la particolarità di notare tutte le donne in circolazione, le donne belle, indicandone le doti fisiche con esclamazioni colorite (generalmente in dialetto).

Con il suddetto mi sono trovata a passeggiare in centro a Roma. Voglio dire, di bellezze ce n'è da vedere, o no?
"Sì - risponderebbe il tipo in questione - è pieno di turiste".
A quel punto, io, che prendo sul serio perfino gli imprevisti del Monopoli, incito a provarci con ognuna: perché, se quella donna ti colpisce così tanto non la fermi? Perché non chiadi il numero a tutte, perché non soddisfi la tua fame? Magari a pancia piena lo noti il Colosseo e non lo consideri solo lo sfondo delle foto delle americane in shorts.
Ma al mio invito, il Mortodifame mi ha risposto "No, con quella no, forse è sposata". 
Io faccio la spigliata, cerco di mettermi nei suoi panni, e affermo: "Va beh, ma se è sposata in Comune..."

L'avessi mai detto.

"Quindi vorresti forse dirmi che il Matrimonio civile ha meno dignità di quello religioso?"

Alché mi sono trovata a un bell'incrocio: quale strada prendere?
1) boccaccia mia taci
2) spiegare la sostanziale differenza tra le due forme di Matrimonio
3) scusarsi per essersi espressa con tanta leggerezza

Ho scelto la terza strada (scusarsi mette sempre tutti d'accordo) e ho puntualizzato che no, non credo sia una questione di dignità, ma visto che l'occhio non si frena di fronte a nulla, se proprio si deve ottenere tutto quello che si vuole anche a costo di invadere il campo altrui, se proprio si deve rompere qualcosa, tantovale rompere un legame che nasce di per sé come "rompibile". 

Ebbene sì, sono una folle, lo so, una scriteriata. Ma credo che la sottile differenza (sottile come una corda di quelle che legano le navi) stia nell'indissolubilità. Sposarsi in Chiesa vuol dire: "mi lego a te e nulla ci permetterà di andarcene". Sposarsi in Comune vuol dire "Mi lego a te e per quanto speri di restare per sempre con te non c'è niente che ci impedirà di buttare tutto all'aria, se non la nostra volontà". Beh, si sa che a chi sceglie la forma del Sacramento "piace vincere facile".
Non dico che una forma abbia più dignità dell'altra: dico che una si può rompere, l'altra no. Ho detto forse qualcosa di folle?

Beh, il Mortodifame mi ha guardata con gli occhi di fuori. Forse era meglio "boccaccia mia taci"!

domenica 18 agosto 2013

Perfettissimo!

A un adulto venne chiesto se ricordasse in quale giorno avesse iniziato a soffrire. Lui prese a raccontare:
“Il primo giorno di scuola la maestra chiese a tutti di riempire per il giorno dopo una pagina di cerchietti. Io arrivai a casa, mangiai e poi felicissimo corsi sul quaderno, desideroso di iniziare la lezione: volevo fare i cerchietti più belli della classe! Feci il primo e poi lo cancellai perché non era venuto bene, lo rifeci ma anche quello non mi soddisfaceva, così il terzo, e il quarto: tutti cancellati. La sera dovettero togliermi dal tavolo a forza perché io continuavo a fare il primo cerchietto e cancellarlo.”
Il giorno in cui ti chiedi la perfezione inizi a soffrire.
Perché fai a botte con la realtà? Perché vuoi essere vincente.
Ma se vuoi amare, vai benissimo così.
Il giorno in cui inizi a non chiederti la perfezione, inizi a non chiederla nemmeno agli altri. Allora puoi iniziare a sperare di innamorarti, ad aprirti. A credere in Dio, forse, perché capisci che nemmeno Lui, anzi, tantomeno Lui ti chiede la perfezione. Spesso commettiamo errori perché sbagliamo obiettivo: se l'obiettivo della nostra vita è AMARE, perdono di importanza tante e tante cose: perde di importanza l'ultima parola, perdono di importanza le proprie abitudini, perdono di importanza le comodità e soprattutto non esistono più questioni di principio: esiste l'altro: unico perché imperfetto, perfetto perché inimitabilmente sé. 
La perfezione chiedila solo all'Amore, anzi, a Dio: "Rendimi, Signore, perfetto nell'amore, nel tuo Amore!". 



Tu invece ti svegli la mattina e ti odi, perché non sei quello che vorresti (o che credi che gli altri vorrebbero).

Ma se Gesù ha vinto il mondo con la debolezza, perché devi aver paura della tua?

sabato 17 agosto 2013

"un’anima sembra la cosa più antimoderna che possa esistere"

"Appena nacque nostro figlio, venne a trovarci in ospedale un carissimo amico, mio e di mia moglie, un vecchio sacerdote che qualche anno prima ci aveva sposati: padre Bruno. Non seppe resistere alla tentazione, e come tutti gli anziani che si trovano davanti a un neonato, cominciò a sorridergli e a scherzare con la voce, prima in falsetto, poi con un timbro baritonale, infine, imitando una papera, cercò di attirare l’attenzione di quell’esserino che aveva solo qualche ora di vita. Tentò anche di improvvisare il balletto dell’orso Baloo, ma dopo un accenno di tip-tap deve essersi detto che per un anziano sacerdote di 82 anni, che solitamente impiegava la sua voce per tenere le omelie, per condurre cineforum, moderare conferenze e dirigere un centro culturale (quella era la sua molteplice attività), forse il tip-tap in una stanza di ospedale era un poco eccessivo. Ci guardò, guardò nostro figlio, poi disse: «Bene, avete fatto un corpo, ora dovrete farne un’anima!». Salutandoci sorrise e uscì dalla stanza. Guardandolo andare via mi sembrava che ballasse il tip-tap e che nemmeno Gene Kelly avesse la sua leggerezza.
Che cosa voleva dire «farne un’anima»? Io e mia moglie ci scambiammo uno sguardo interrogativo. I nove meravigliosi mesi di laboriosa gravidanza, e tutte quelle ore faticose del parto, l’avevano sfinita: umanamente non le si poteva chiedere nessuno sforzo in più in quel momento, anche perché quei 3 kg e 750 gr di esserino ai nostri occhi erano bellissimi e, benché le dimensioni prefigurassero un avvenire da brevilineo, eravamo convinti che non mancassero di nulla. Mi turbava l’idea dell’anima, mi ripromisi di dare un’occhiata su Wikipedia per saperne di più; in quel momento entrò il medico per accertarsi delle condizioni di mamma e figlio, e mentre annotava qualche dato sulla cartella clinica gli chiesi dopo quanti giorni si sarebbe manifestata l’anima, se prima o dopo i denti da latte, e se ce ne saremmo accorti da qualche prodromo tipo febbre o colichette. Lui prima mi fece sedere, mi auscultò il polso, mi obbligò a inghiottire una pastiglia e infine disse: «Deve essere stata un’esperienza un po’ scioccante per lei assistere al parto, chissà da quante ore non riposa, e poi tenere fra le braccia il proprio figlio! Lo mandiamo a casa a dormire, questo papà?».
In effetti prendere fra le braccia il proprio figlio era stata un’esperienza terrorizzante, come salire dietro ad Alonso sulla sua Ferrari mentre sta disputando il Gp del Nürburgring. Mi era sembrato di avere avuto in braccio la cosa più fragile dell’universo, più fragile di una flûte di cristallo, di quelle che si rompono sempre quando le metti in lavastoviglie; altro che un figlio, mi sembrava che stessi cullando una bomba atomica: non mi muovevo, non respiravo, non contraevo un muscolo. In genere si riesce a resistere in quelle condizioni non più di un minuto e quaranta secondi, e quando l’infermiera te lo toglie dalle mani facendolo roteare come un giocoliere tu speri di riabbracciare tuo figlio il giorno in cui si laureerà.
Farne un’anima? Dopo la prima ecografia che ci rivelò essere un maschietto, ricordo che fantasticai di farne un’avvocato, un architetto, un laureato in scienze economiche; un vincitore del Pallone d’oro con la maglia dell’Inter, tutt’al più un campione di tennis, uno skipper, un produttore di vini nel Salento, uno chef da 3 stelle Michelin! Farne un anima!? Avrà senso nell’era della potenza tecnologica più dispiegata ? Cosa te ne fai di un’anima quando tra non molto potrai prenotare via Internet un drone telecomandato che te lo mandano a casa e ti stira le camicie e ti svuota la lavastoviglie? Poi torni a casa la sera e trovi il drone ridotto a ferraglia perché la tua colf lo aveva scambiato per un ladro e preso a bastonate.
Me lo immagino il confronto con gli altri genitori: «Mio figlio ha conseguito la maturità con il massimo dei voti al Liceo San Carlo, ha il diploma di miglior centrocampista offensivo conseguito quest’estate in uno stage a Rio de Janeiro, parla inglese fluently grazie alla permanenza bimestrale nel college Nathaniel Winkle di Brixton nella contea di Hampstead, e come hobby progetta applicazioni per iPad. E suo figlio?». «Stiamo cercando di fargli conseguire un’anima...». «...ma cos’è? Un liceo sperimentale, o frequenta una comunità di recupero per tossicodipendenti?».
E poi, un’anima come la si crea? Quanto incide una corretta alimentazione nel contribuire al progetto? E nel caso, sarebbe meglio una dieta iperproteica o senza glutine, oppure povera di sodio? E gli amminoacidi ramificati, la carnetina, oltre ad aumentare la massa muscolare, potrebbero far lievitare l’anima? L’anima è più sviluppata nei vegetariani o negli obesi? E quale attività sportiva predilige un’anima? Una disciplina aerobica o anaerobica? Mi spiego: è più adatta per un’anima la maratona o il curling? oppure sarebbe meglio lo sci da discesa con attrezzi curving o lo snorkeling con pinne lunghe? E poi che giochi si regalano a un bambino per agevolare il processo: pistole, frecce, Gameboy o il puzzle del Libro tibetano dei morti? Ma soprattutto, a cosa serve un’anima? Nessuno più te la chiede; quando ti fermano i carabinieri si accontentano di patente e libretto; se acquisti su Internet, bastano carta di credito e mail e il resto del mondo pretende e desidera solo account e password! A pensarci bene, un’anima sembra la cosa più antimoderna che possa esistere, più antica del treno a vapore, più vecchia del televisore a tubo catodico, più démodé delle pattine da mettere in un salotto con la cera al pavimento; lontana come una foto in bianco e nero, bizzarra come un ventaglio, eccentrica come uno smoking e inutile come un papillon.
Telefonai a padre Bruno e chiesi: «Ma come si fa a fare un’anima?». E lui rispose: «Cominci con il ringraziare». «Chi?», domandai. «Il Padreterno che le ha donato un figlio e questa cose meravigliose che sono il mondo e la vita». «E se non ci credessi, se fosse tutto un caso?». «E lei ringrazi il caso, che non ha faticato meno del Padreterno, benedica la circostanza, ma non si dimentichi mai di ringraziare». E poi aggiunse: «La seconda qualità dell’anima è la gentilezza, sia sempre gentile con tutti». «Anche con quelli sgarbati? Anche con quelli che ti fanno domande importune?». «Sì, sia sempre gentile e chieda: perché vuole saper proprio questa cosa? Vedrà che cambierà domanda o starà in silenzio».
Padre Bruno mi congedò perché era affaticato, mentre io avrei avuto altre cento domande da fargli a proposito dell’anima. «Le prometto che verrò a visitarla in sogno». Sorrisi della sua affermazione e dissi: «Ma non si disturbi, vengo io a trovarla in sagrestia». La notte stessa ci lasciò perché, come lui amava dire, era arrivato il giorno dell’appuntamento con la Persona più importante.
Un giorno ero assorto nei miei pensieri, quando un tizio in maniera assolutamente sgarbata mi rivolse la seguente domanda: «Perché ha parcheggiato la macchina in seconda fila?». Io misi in pratica il consiglio di padre Bruno e gentilmente chiesi: «Perché vuole farmi proprio questa domanda?».
E lui: «Perché sono un vigile e questa è la sua bella contravvenzione, e mi ringrazi che oggi sono di buon umore, altrimenti gliela facevo rimuovere la sua bella macchinetta, ha capito?».
Ho ringraziato gentilmente. Ma poi guardando meglio mi accorsi che il vigile rideva, ma non solo era padre Bruno travestito. Lo stavo sognando! Mi abbracciò e chiese: «Allora come se la sta cavando con l’anima?». «Mi applico ma non ci capisco niente. Ma, padre Bruno, l’anima è una cosa che esiste solo nelle canzoni, quasi sempre in inglese...». «Si ricordi un’altra cosa: l’uomo supera infinitamente se stesso». E svanì come nella nebbia, anzi comein un sogno.
Al risveglio mi accolse il sorriso di mia moglie, e dopo essermi stiracchiato come un gatto le dissi: «Lo sai, amore, oggi sento che posso infinitamente superare me stesso». E lei rispose: «Come te la tiri!». Mi sa che ci vuole pratica per fare un’anima!"

                   


Giacomo Poretti, La Stampa, 15/4/2012

Per la famiglia!

Voi famiglie siete comunione, comunione delle persone,
 come il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. 
Siete comunione delle persone, siete unità. 
Siete unità e non potete non essere unità. 
Se non siete unità non siete comunione; 
se siete invece comunione, siete unità. 
Il sacramento del Matrimonio, la famiglia, 
 cresce nel sacramento del Battesimo, dalla sua ricchezza. 
Crescere dal Battesimo vuol dire crescere dal mistero pasquale di Cristo
Siamo immersi per ritrovare la pienezza della vita, 
e questa pienezza dobbiamo ritrovarla nella pienezza della persona, 
ma, nello stesso tempo, nella dimensione della famiglia
 - comunione di persone - 
per portare, per ispirare con questa novità di vita gli ambienti diversi, 
le società, i popoli, le culture, la vita sociale, la vita economica . . . 
Tutto questo è per la famiglia. 
Voi dovete andare in tutto il mondo a ripetere a tutti 
che è “per la famiglia”, non a costo della famiglia. 

Giovanni Paolo II, Omelia a Porto San Giorgio, 30 dicembre 1988

Essere sposa di Cristo

Non è solo l'espressione del più dolce dei sogni: è una divina realtà; è l'espressione di tutto un mistero di somiglianza e di unione; è il nome che al mattino della nostra consacrazione la Chiesa pronuncia su di noi: VIENI, SPOSA DI CRISTO!

È necessario vivere la propria vita di sposa! Quante cose questo nome evoca di amore dato e ricevuto, di intimità, di fedeltà, di dedizione assoluta!

Essere sposa vuol dire abbandonarsi come lui si è abbandonato; vuol dire essere immolata come lui, da lui, per lui. Vuol dire il Cristo che si fa totalmente nostro e noi che diventiamo totalmente sue.

Essere sposa vuol dire avere tutti i diritti sul suo Cuore. È un cuore per tutta la vita. È un vivere... sempre con. E riposare totalmente in lui e permettergli di riposare totalmente nella nostra anima.

È non sapere altro che amare; amare adorando, amare riparando, amare pregando, domandando, dimenticandosi; amare sempre sotto tutte le forme.

"Essere sposa" è avere gli occhi nei suoi occhi, il pensiero affascinato da lui, il cuore tutto preso, tutto invaso, come fuori di sé e passato in lui, l'anima piena della sua anima, piena della sua preghiera, tutto l'essere catturato e donato.

È fissarlo sempre con lo sguardo, per sorprendere il minimo desiderio; è entrare in tutte le sue gioie, condividere tutte le sue tristezze. Vuol dire essere feconda, corredentrice, generare anime alla grazia, moltiplicare figli adottivi del Padre, i riscattati da Cristo, i coeredi della sua gloria.

"Essere sposa", sposa del Carmelo, vuol dire avere il cuore bruciato di Elia, il cuore trasverberato di Teresa, la sua "vera sposa", perché ne zela l'onore.

Infine essere presa per sposa, per sposa mistica, vuol dire avere rapito il suo cuore a tal punto che, dimenticando tutta la distanza, il Verbo si riversi nell'anima come nel seno del Padre, con la medesima estasi di amore infinito. Vuol dire il Padre, il Verbo e lo Spirito che invadono l'anima, la deificano, la consumano nell'Uno per l'amore.

Vuol dire il matrimonio, lo stato stabile, perché è l'unione indissolubile delle volontà e dei cuori. E Dio disse: facciamogli una compagna simile a lui; essi saranno due in uno...

Beata Elisabetta della Trinità

Il Matrimonio ha 88 tasti.



"Tutta quella città... non si riusciva a vederne la fine...La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine?Era tutto molto bello, su quella scaletta... e io ero grande con quel bel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi che sarei sceso, non c'era problema.Non è quello che vidi che mi fermò, MaxÈ quello che non vidi.Puoi capirlo? Quello che non vidi... In tutta quella sterminata città c'era tutto tranne la fine.C'era tutto.Ma non c'era una fine. Quello che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo.Tu pensa a un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu lo sai che sono 88 e su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quegli 88 tasti la musica che puoi fare è infinita.Questo a me piace. In questo posso vivere.Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai... Quella tastiera è infinita.Ma se quella tastiera è infinita allora su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare. E sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio."
(Monologo finale de "La leggenda del pianista sull'Oceano" )
Il Matrimonio è come il pianoforte: ha 88 tasti. Il Matrimonio impone dei limiti, e su questo "nessuno può fregarti" (già, anche se c'è chi ci prova dicendo che dopo sposati non cambierà nulla, che si può convivere e poi sposarsi tanto è una formalità, il Matrimonio).
Ma se scegli di entrare dentro i confini del Matrimonio (e cito solo la fedeltà, tanto per fare un nome) puoi scoprire che sei tu che sei infinitoperché sei stato fatto così da Dio, che è eterno, che è Colui che ti spalanca nell'ordinarietà la straordinarietà di te stesso e dell'altro, ma soprattutto della relazione.
Se scegli invece di prendere tutto, di volere tanto e ancora di più, di non amare una sola persona ma tante (ovvero di non amarne nessuna)...forse starai scomodo tutta la vita, perché sei seduto sul seggiolino sbagliato.
Sposati: la musica che puoi fare è infinità.

Adamo, dove sei?


"Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l'uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?»"     
Genesi 3, 6-9

Dio dice all'uomo "dove sei?" Perché? Non lo sapeva da solo? Dio vuole incontrare il tuo volto, ma quello vero, non quello che ti racconti per sopravvivere(infatti non chiede "come stai?").
Dio non vuole il tuo curriculum, non vuole sapere come tiri avanti: Lui vuole sapere DOVE SEI, per incontrarti come sei.
Chi non decide di mostrarsi a Dio per quello che realmente è, dovunque sia, non apre le porte alla luce del Risorto.

Dobbiamo smettere di raccontarci la vita e iniziare a viverla!

Un sacerdote una volta disse a un'assemblea: "chi conosce Rustichello da Pisa?": si alzarono poche mani.
"E invece chi conosce Marco Polo?": quasi tutte le mani si levarono in alto. 

La vita è di chi la vive, non di chi la racconta e basta!

ps. per saperne di più http://it.wikipedia.org/wiki/Rustichello_da_Pisa

                                             Il buon vecchio Marco Polo



venerdì 16 agosto 2013

Συμπόσιον - il mito degli androgini

Mito di Aristofane o dell'androgino
(Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.)
Il mito di Aristofane (o mito dell'androgino) è presente nel celebre dialogo platonico Simposio, che si propone di trattare l'immortale tema dell'amore.
Dopo l'esposizione di Fedro, Pausania ed Erissimaco, inizia a parlare Aristofane, il famoso poeta comico, che sceglie il mito come veicolo della sua opinione su Eros. Tempo addietro - espone il poeta - non esistevano, come adesso, soltanto due sessi (il maschile e il femminile), bensì tre, tra cui, oltre a quelli già citati, il sesso androgino, proprio di esseri che avevano in comune caratteristiche maschili e femminili. In quel tempo, tutti gli esseri umani avevano due teste, quattro braccia, quattro mani, quattro gambe e due organi sessuali ed erano tondi [1] . Per via della loro potenza, gli esseri umani erano superbi e tentarono la scalata all'Olimpo per spodestare gli dei. Ma Zeus, che non poteva accettare un simile oltraggio, decise di intervenire e divise, a colpi di saetta, gli aggressori.
« Finalmente Zeus ebbe un'idea e disse: "Credo di aver trovato il modo perché gli uomini possano continuare ad esistere rinunciando però, una volta diventati più deboli, alle loro insolenze. Adesso li taglierò in due uno per uno, e così si indeboliranno e nel contempo, raddoppiando il loro numero, diventeranno più utili a noi. »
(Platone, Simposio, 190c-d, trad. it. Franco Ferrari)
In questo modo gli esseri umani furono divisi e s'indebolirono. Ed è da quel momento - spiega Aristofane - che essi sono alla ricerca della loro antica unità e della perduta forza che possono ritrovare soltanto unendosi sessualmente. Da questa divisione in parti, infatti, nasce negli umani il desiderio di ricreare la primitiva unità, tanto che le “parti” non fanno altro che stringersi l’una all’altra, e così muoiono di fame e di torpore per non volersi più separare. Zeus allora, per evitare che gli uomini si estinguano, manda nel mondo Eros affinché, attraverso il ricongiungimento fisico, essi possano ricostruire “fittiziamente” l’unità perduta, così da provare piacere (e riprodursi) e potersi poi dedicare alle altre incombenze cui devono attendere.
« Dunque al desiderio e alla ricerca dell'intero si dà nome amore »
(Platone, Simposio, 192e-193a, trad. it. Franco Ferrari)

 

Questo mito spiegava agli antichi greci l'origine dell'amore. Il suo significato profondo è tanto vero: nell'uomo c'è la ricerca della completezza. Avvertiamo questa spinta da bambini, soffriamo l'abbandono e cerchiamo tutta la vita di colmare lo spazio vuoto che ci portiamo dentro.

L'Amore è l'unica realtà che colma questo vuoto.

Siamo nati per amare ed essere amati.

Siamo nati per unirci.

Siamo nati per sposarci.

Non due ma uno... perché?

"Egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina e disse: "Per questo l'uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne"? Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l'uomo non divida quello che Dio ha congiunto»."
Mt 19, 4-6 
Da queste parole nasce questo blog, uno spazio di parole, tra le tante che sono in rete e non, in cui si celebra la condizione umana: quella dell'incompletezza. Solo essendo consapevoli di questa condizione si può arrivare alla decisione di colmare il desiderio di interezza che abita dentro di noi, unendoci finalmente a un'altra realtà che ci renda colmi.

Buona lettura.